Nel 2020 le Battle rap si fanno sui social. Non più le rime taglienti o il sapere improvvisare parole di fuoco su un beat buttato a caso da un dj come si vedeva in 8 Mile di Eminem. Oggi ci sono follower e like xké è più facile venire alle mani anziché tirare fuori un talento che molti costruiti non hanno. Oramai è tutto un giro di soldi, di strategie, di dissing spesso organizzati a tavolino. Prima si andava nel club di turno e magari li eri con gli amici a berti un bel Cuba Libre (altro che Spritz). Fiumi di rum che nemmeno Jack Sparrow riusciva a tollerare fino a quando dal palco qualcuno ti tirava in mezzo. Una provocazione era vista come un invito ad esibirsi, un insulto era un modo per accendere la creatività. Ora ci sono i follower sopra tutto, il cancro del nuovo millennio. Se non hai i follower sei uno sfigato e non meriti anche se nessuno nemmeno immagina che cosa hai da dire. Per non parlare delle rapstar. Troppo rischiosa una Battle dal vivo col signor nessuno che sa vita morte e miracoli e che può sputtanarli come vuole. Tutto molto triste…c’ era una volta il rap.